martedì 12 giugno 2012

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La Biblioteca nel Pallone

Postato da Matioggi, 11:45

da Il giorno prima della felicità   di Erri De Luca

Scoprii il nascondiglio perché c'era finito il pallone. Dietro la nicchia della statua, nel cortile del
palazzo, c'era una botola coperta da due tavolette di legno. Mi accorsi che si muovevano quando ci
misi i piedi sopra. Mi prese paura, recuperai la palla e sgusciai fuori tra le gambe della statua.
Solo un bambino smilzo e contorsionista come me poteva infilare la testa e il corpo tra le gambe
poco divaricate del re guerriero, dopo aver aggirato la spada piantata giusto davanti ai piedi. La
palla era finita lì dietro, dopo un rimbalzo di sponda tra la spada e la gamba.
La spinsi in fuori, gli altri ripresero il gioco, mentre mi attorcigliavo per uscire. Le trappole sono
facili a entrare ma per uscire c'è da sudare. Avevo pure una fretta di paura. Ripresi il mio posto in
porta. Mi facevano giocare con loro perché recuperavo la palla dovunque finiva. Una destinazione
abituale era il balcone del primo piano, una casa abbandonata. La voce era che ci abitava un
fantasma. I vecchi palazzi contenevano botole murate, passaggi segreti, delitti e amori. I vecchi
palazzi erano nidi di fantasmi.

Andò così la prima volta che salii al balcone. Dal finestrino a pianoterra del cortile dove abitavo, il
pomeriggio guardavo il gioco dei più grandi. Il pallone calciato male schizzò in alto e finì sul
terrazzino di quel primo piano. Era perduto, un superflex paravinil un po' sgonfio per l'uso. Mentre
che bisticciavano sul guaio mi affacciai e chiesi se mi facevano giocare con loro. Sì, se ci compri un
altro pallone. No, con quello, risposi. Incuriositi accettarono. Mi arrampicai lungo un tubo
dell'acqua, discendente, che passava accanto al terrazzino e proseguiva in cima. Era piccolo e
fissato al muro del cortile con dei morsetti arrugginiti. Cominciai a salire, il tubo era coperto da
polvere, la presa era meno sicura di quello che mi ero immaginato. Mi ero impegnato, ormai.
Guardai in su: dietro i vetri di una finestra del terzo piano c'era lei, la bambina che cercavo di
sbirciare. Era al suo posto, la testa appoggiata sulle mani. Di solito guardava il cielo, in quel
momento no, guardava giù.

Dovevo continuare e continuai. Per un bambino cinque metri sono un precipizio. Scalai il tubo
puntando i piedi sui morsetti fino all'altezza del terrazzino. Sotto di me si erano azzittiti i commenti.
Allungai la mano sinistra per arrivare alla ringhiera di ferro, mi mancava un palmo. In quel punto
dovevo fidarmi dei piedi e stendere il braccio che teneva il tubo. Decisi di farlo di slancio e ci
arrivai con la sinistra. Ora dovevo portarci la destra. Strinsi forte la presa sul ferro del terrazzo e
buttai la destra ad afferrare. Persi l'appoggio dei piedi: le mani ressero per un momento il corpo nel
vuoto, poi subito un ginocchio, poi due piedi e scavalcai. Com'è che non avevo avuto paura? Capii
che la mia paura era timida, per uscire allo scoperto aveva bisogno di stare da sola. Lì invece
c'erano gli occhi dei bambini sotto e quelli di lei sopra. La mia paura si vergognava di uscire. Si
sarebbe vendicata dopo, la sera al buio nel letto, col fruscìo dei fantasmi nel vuoto.

Buttai il pallone di sotto, ripresero a giocare senza badare a me. La discesa era più facile, potevo
stendere la mano verso il tubo contando su due buoni appoggi per i piedi sul bordo del terrazzino.
Prima di allungarmi verso il tubo guardai veloce al terzo piano. Mi ero offerto all'impresa per
desiderio che si accorgesse di me, minuscolo scopettino da cortile. Era lì con gli occhi sbarrati,
prima che potessi azzardare un sorriso era scomparsa. Stupido a guardare se lei stava guardando.
Bisognava crederci senza controllare, come si fa con gli angeli custodi. Mi arrabbiai con me
buttandomi lungo il tubo in discesa per togliermi da quel palcoscenico. Sotto mi aspettava il premio,
l'ammissione al gioco. Mi misero in porta e fu così deciso il mio ruolo, sarei diventato portiere.

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