Ultimi articoli commentati
Un giorno felice per le finestre di La Cassa
Postato da fabrioggi, 16:06
Stiamo con lo sguardo sempre rivolto altrove, ma loro sono sempre lì, dietro di noi.
Siamo i figli di questa valle minore dove dai Baratonia in avanti non è accaduto un gran ché.
Una famiglia che ha dato nome a un posto.
E oggi ci sono il Lera, la Madonna della Neve, il Moncolombano, il più tozzo Baron, Costa Bella, Santa Maria e altri rilievi che non dicono molto nemmeno alla neve, infine il riferimento più imponente, quello che li chiude tutti a nord-ovest, li guida, ne è alla testa, il nostro Musiné.
Lo sguardo sbatte contro quella piccola catena quando torniamo a casa, è come mosca sul vetro.
Ma ne trae protezione, rassicurazione, cerca ogni volta l'accoglienza di quel grande ventre scuro.
Loro sono il limite, ad un certo punto della vita, invalicabile: sappiamo cosa c'è oltre, ma sappiamo di non andarci, per scelta, per impossibilità, poco importa, preferiamo sentirli come paratia, come diga per le riserve della nostra barcollante certezza.
Sono ombra scura che ci regala la sera con anticipo rispetto alle genti di pianura.
Sono canali stretti di molte piccole valli senza nome, attraversati da venti forti e improvvisi.
Sono il nostro orizzonte anomalo che ci costringe, per guardarlo, piuttosto che verso il lontano, ad alzare gli occhi concedendo loro le infinite ipotesi dell'immaginare cosa ci sia dall'altra parte.
Questi nostri monti bassi sono una forma d'altrove che ci portiamo dentro quando non siamo a casa.
È proprio l'idea stessa di casa che prende forma quando sentiamo i rintocchi dei campanili che ci sbattono contro e ci ritornano indietro, sembrando dirci che anche le pendici boschive hanno capito che il tempo se ne sta andando.
E quella croce che guarda i secoli da lassù, lei, indifferente al passaggio del tempo, è per noi muta accoglienza, simbolo di sofferenza che noi troppo spesso scambiamo per protezione, è il nostro bentornato, è una luce che muove i nostri passi, anche quando è buio, anche quando ci sono nuvole.
È il Musinè la nostra possibilità di guardare oltre, è lui il volto di uomo sulla croce che vede il suo destino e noi, al riparo nel suo grembo che ci fa ombra, vediamo con i suoi occhi, non piegati dalla croce ma sormontati da essa, la nostra ipotesi di speranza.
Siamo i figli di questa valle minore dove dai Baratonia in avanti non è accaduto un gran ché.
Una famiglia che ha dato nome a un posto.
E oggi ci sono il Lera, la Madonna della Neve, il Moncolombano, il più tozzo Baron, Costa Bella, Santa Maria e altri rilievi che non dicono molto nemmeno alla neve, infine il riferimento più imponente, quello che li chiude tutti a nord-ovest, li guida, ne è alla testa, il nostro Musiné.
Lo sguardo sbatte contro quella piccola catena quando torniamo a casa, è come mosca sul vetro.
Ma ne trae protezione, rassicurazione, cerca ogni volta l'accoglienza di quel grande ventre scuro.
Loro sono il limite, ad un certo punto della vita, invalicabile: sappiamo cosa c'è oltre, ma sappiamo di non andarci, per scelta, per impossibilità, poco importa, preferiamo sentirli come paratia, come diga per le riserve della nostra barcollante certezza.
Sono ombra scura che ci regala la sera con anticipo rispetto alle genti di pianura.
Sono canali stretti di molte piccole valli senza nome, attraversati da venti forti e improvvisi.
Sono il nostro orizzonte anomalo che ci costringe, per guardarlo, piuttosto che verso il lontano, ad alzare gli occhi concedendo loro le infinite ipotesi dell'immaginare cosa ci sia dall'altra parte.
Questi nostri monti bassi sono una forma d'altrove che ci portiamo dentro quando non siamo a casa.
È proprio l'idea stessa di casa che prende forma quando sentiamo i rintocchi dei campanili che ci sbattono contro e ci ritornano indietro, sembrando dirci che anche le pendici boschive hanno capito che il tempo se ne sta andando.
E quella croce che guarda i secoli da lassù, lei, indifferente al passaggio del tempo, è per noi muta accoglienza, simbolo di sofferenza che noi troppo spesso scambiamo per protezione, è il nostro bentornato, è una luce che muove i nostri passi, anche quando è buio, anche quando ci sono nuvole.
È il Musinè la nostra possibilità di guardare oltre, è lui il volto di uomo sulla croce che vede il suo destino e noi, al riparo nel suo grembo che ci fa ombra, vediamo con i suoi occhi, non piegati dalla croce ma sormontati da essa, la nostra ipotesi di speranza.
Hai ricevuto questa e-mail perchè sei iscritto al nostro servizio di notifica delle novitÃ
Per cancellarti o modificare la frequenza di ricezione clicca QUI