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Postato da Lucaoggi, 18:59
Il Papalagi non ha tempo
Il Papalagi ama il metallo rotondo e la carta pesante, ama mettersi nella pancia molto liquido tratto da frutti uccisi e molta carne di maiale e bue e di altri terribili animali, ma sopra ogni cosa ama ciò che non si può afferrare e che pure è sempre presente: il tempo. E di questo fa grande scalpore e sciocche chiacchiere. Sebbene non ce ne sia mai più di quanto ne può stare fra il levarsi e il cadere del sole, lui non ne ha mai abbastanza.
Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il Grande Spirito perché non gliene ha dato abbastanza. Sì, arriva a bestemmiare Dio e la sua grande saggezza, dal momento che taglia e ritaglia e divide e suddivide ogni nuovo giorno secondo un preciso sistema. Lo taglia proprio come si squarcia con il coltello una molle noce di cocco. E tutte le parti che taglia hanno un nome: secondi, minuti, ore. Il secondo è più piccolo del minuto, questo è più piccolo dell'ora; tutti insieme fanno le ore e bisogna avere sessanta minuti e molti più secondi prima di avere un'ora.
Questa è una faccenda molto complicata, che non sono mai riuscito a comprendere bene, perché mi fa star male rimanere più a lungo del necessario a riflettere su cose così infantili. Ma il Papalagi fa di questo un grande sapere. Gli uomini, le donne e persino i bambini piccoli, che appena si reggono sulle gambe, portano nei loro panni una piccola macchina rotonda appesa a una grossa catena che pende dal collo o è legata a un polso con una striscia di pelle, e in essa sanno leggere il tempo. Questa lettura non è affatto facile. La si insegna ai bambini, tenendo loro la macchina vicino all'orecchio perché si divertano.
Questa macchina, che si può facilmente portare su due dita tese, ha all'interno l'aspetto di una di quelle macchine che stanno nella pancia delle grandi navi, che voi tutti conoscete. Ci sono però anche macchine del tempo grandi e pesanti, che stanno ritte in piedi all'interno di una capanna o sono appese sulla punta più alta della casa e si possono vedere da lontano. Quando è trascorsa una parte del tempo, piccole dita poste sulla parte esterna della macchina lo mostrano, e nello stesso momento la macchina si mette a gridare, come se uno spirito battesse con forza contro il ferro del suo cuore. Sicuro, in una città europea c'è sempre un gran fragore quando è passata una certa parte del tempo.
Quando risuona questo baccano, il Papalagi si lamenta: «È un gran guaio che sia già passata un'ora». Di solito, dicendolo fa una faccia triste, come qualcuno che prova un gran dolore, sebbene dopo quella passata subito arrivi fresca fresca un'altra ora.
Non ho mai capito bene questa cosa e penso appunto che si tratti di una grave malattia. «Il tempo mi sfugge!» «Il tempo corre come un puledro impazzito!» «Dammi un po' di tempo!» Questi sono i lamenti più abituali che si sentono dall'uomo bianco.
Io dico che deve essere una strana sorta di malattia; perché anche supponendo che l'uomo bianco abbia voglia di fare una cosa, che il suo cuore lo desideri veramente, per esempio che voglia andare al sole o sul fiume con una canoa o voglia amare la sua fanciulla, così si rovina ogni gioia, tormentandosi con il pensiero: «Non ho tempo di essere contento». Il tempo è lì ma, con tutta la buona volontà, lui non lo vede. Nomina mille cose che gli portano via il tempo, se ne sta immusonito e lamentoso al suo lavoro che non ha alcuna voglia di fare, che non gli dà gioia e al quale nessuno lo costringe se non se stesso. Ma se poi all'improvviso si avvede di avere tempo, che il tempo è lì, oppure qualcuno gli dà dell'altro tempo (i Papalagi si danno sempre il tempo a vicenda, sicuro, niente è più altamente considerato di questo), allora gli manca di nuovo la voglia oppure è stanco del suo l avoro e senza gioia. E regolarmente vuole fare l'indomani ciò per cui oggi non ha più tempo.
Ci sono Papalagi che affermano di non avere mai tempo. Corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perché hanno perduto il loro tempo. Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina.
Poiché ogni Papalagi è ossessionato dalla paura di perdere il suo tempo, sa anche molto bene (e non solo lo sa ogni uomo, ma anche ogni donna e ogni bambino piccolo) quanti soli e quante lune si sono levate e sono tramontate dal momento in cui egli ha visto la grande luce per la prima volta. Sicuro, questa è una cosa importante e quindi allo scadere di determinati periodi di tempo, si fanno grandi sacrifici con fiori e grandi banchetti. Quanto spesso mi sono accorto che molti credevano di doversi vergognare per me quando mi domandavano quanti anni avevo e io ridevo e non sapevo rispondere. «Ma devi pur sapere quanti anni hai.» Io tacevo e pensavo «È molto meglio che io non lo sappia».
Che età si ha, quante lune si sono viste. Questi calcoli e queste ricerche sono colme di pericolo, perché con ciò si capisce quante lune dura la vita della maggior parte degli uomini. E così ciascuno di loro sta attentissimo, e quando molte e molte lune sono trascorse, dice: «Dovrò presto morire». Così non ha più gioia e finisce che muore davvero.
Ci sono in Europa soltanto poche persone che hanno veramente tempo. Forse nessuna. Per questo, quindi, la maggior parte di esse corrono per la vita come una pietra che rotola. Tutti o quasi camminano tenendo gli occhi abbassati e dondolando le braccia avanti e indietro per andare più in fretta. Quando si vuole fermarli, gridano arrabbiati: «Perché mi disturbi? Non ho tempo, vedi piuttosto di usare bene il tuo». Fanno proprio come se un uomo che cammina in fretta avesse più valore e fosse più coraggioso di quello che cammina lentamente.
Ho visto un uomo farsi scoppiare la testa, roteare gli occhi e spalancare la bocca come un pesce che sta per morire, diventare rosso e verde e battere le mani e i piedi perché il suo servo era arrivato un momento più tardi di quanto aveva promesso. Quel minuto, lo spazio di un respiro, era per lui una perdita tanto grave che non si sarebbe mai potuta compensare. Il servo dovette abbandonare la sua capanna, il Papalagi lo scacciò e gli gridò «Mi hai rubato abbastanza tempo. Un uomo che non bada al tempo, non è degno di averne».
Una sola e unica volta incontrai un uomo che aveva molto tempo, che non si lagnava mai di averne perduto; ma era povero e sudicio e abbandonato. La gente gli girava al largo e nessuno aveva rispetto di lui. Io non compresi questo modo di fare, perché il suo passo era tranquillo e senza ansia e i suoi occhi avevano un quieto sorriso, silenzioso e gentile. Quando glielo domandai, il suo volto si piegò in una smorfia e disse con tristezza: «Io non ho mai saputo far uso del mio tempo, perciò sono un povero diavolo disprezzato da tutti». Quest'uomo aveva tempo, ma neppure lui era felice.
Il Papalagi impiega tutte le sue energie e consuma tutti i suoi pensieri per rendere sempre più pieno il suo tempo. Utilizza l'acqua e il fuoco, la tempesta, i lampi del cielo, tutto per trattenere il tempo. Si mette delle ruote di ferro sotto i piedi e dà ali alle sue parole, sempre per avere più tempo. E perché tutta questa gran fatica? Che cosa ne fa alla fine il Papalagi del suo tempo? Non sono mai riuscito a capirlo del tutto, sebbene lui faccia sempre tante parole e tanti gesti come se il Grande Spirito lo avesse invitato a un ricevimento.
Io credo che il tempo gli sfugga come una serpe sfugge da una mano bagnata, proprio perché lui cerca di tenerlo così stretto. Non gli lascia modo di riprendersi. Gli sta appresso e gli dà letteralmente la caccia con le mani tese, non gli consente alcuna sosta perché possa stendersi al sole. Il tempo deve essergli sempre accanto, deve dirgli e cantargli qualcosa. Ma il tempo è silenzioso e ama la pace e la calma e lo stare distesi su una stuoia. Il Papalagi non ha compreso il tempo, non lo riconosce per quello che è e perciò lo maltratta in quel modo con i suoi rozzi costumi.
O miei cari fratelli! Noi non ci siamo mai lamentati del tempo, lo abbiamo sempre amato; quando veniva non gli siamo mai corsi appresso, non abbiamo mai voluto né costringerlo né disfarlo. Per noi non è mai stato fonte di pena o di fastidio. Si faccia avanti quello fra noi che non ha tempo! Ciascuno di noi ha tempo in quantità; ma noi però siamo anche contenti e soddisfatti di lui, non ce ne occorre più di quanto ce ne è dato e ne abbiamo sempre quanto basta. Sappiamo di arrivare sempre abbastanza in tempo alle nostre mete e sappiamo anche che il Grande Spirito ci chiama secondo la sua volontà, anche se non abbiamo contato il numero delle nostre lune. Dobbiamo liberare il povero, smarrito Papalagi dalla sua follia, dobbiamo ridargli il suo tempo. Dobbiamo distruggere la sua piccola macchina del tempo e annunciargli che dal levarsi al calare del sole c'è molto più tempo di quanto un uomo può aver biso gno.
Buona vita a tutti.
Il Papalagi ama il metallo rotondo e la carta pesante, ama mettersi nella pancia molto liquido tratto da frutti uccisi e molta carne di maiale e bue e di altri terribili animali, ma sopra ogni cosa ama ciò che non si può afferrare e che pure è sempre presente: il tempo. E di questo fa grande scalpore e sciocche chiacchiere. Sebbene non ce ne sia mai più di quanto ne può stare fra il levarsi e il cadere del sole, lui non ne ha mai abbastanza.
Il Papalagi è sempre scontento del suo tempo e si lamenta con il Grande Spirito perché non gliene ha dato abbastanza. Sì, arriva a bestemmiare Dio e la sua grande saggezza, dal momento che taglia e ritaglia e divide e suddivide ogni nuovo giorno secondo un preciso sistema. Lo taglia proprio come si squarcia con il coltello una molle noce di cocco. E tutte le parti che taglia hanno un nome: secondi, minuti, ore. Il secondo è più piccolo del minuto, questo è più piccolo dell'ora; tutti insieme fanno le ore e bisogna avere sessanta minuti e molti più secondi prima di avere un'ora.
Questa è una faccenda molto complicata, che non sono mai riuscito a comprendere bene, perché mi fa star male rimanere più a lungo del necessario a riflettere su cose così infantili. Ma il Papalagi fa di questo un grande sapere. Gli uomini, le donne e persino i bambini piccoli, che appena si reggono sulle gambe, portano nei loro panni una piccola macchina rotonda appesa a una grossa catena che pende dal collo o è legata a un polso con una striscia di pelle, e in essa sanno leggere il tempo. Questa lettura non è affatto facile. La si insegna ai bambini, tenendo loro la macchina vicino all'orecchio perché si divertano.
Questa macchina, che si può facilmente portare su due dita tese, ha all'interno l'aspetto di una di quelle macchine che stanno nella pancia delle grandi navi, che voi tutti conoscete. Ci sono però anche macchine del tempo grandi e pesanti, che stanno ritte in piedi all'interno di una capanna o sono appese sulla punta più alta della casa e si possono vedere da lontano. Quando è trascorsa una parte del tempo, piccole dita poste sulla parte esterna della macchina lo mostrano, e nello stesso momento la macchina si mette a gridare, come se uno spirito battesse con forza contro il ferro del suo cuore. Sicuro, in una città europea c'è sempre un gran fragore quando è passata una certa parte del tempo.
Quando risuona questo baccano, il Papalagi si lamenta: «È un gran guaio che sia già passata un'ora». Di solito, dicendolo fa una faccia triste, come qualcuno che prova un gran dolore, sebbene dopo quella passata subito arrivi fresca fresca un'altra ora.
Non ho mai capito bene questa cosa e penso appunto che si tratti di una grave malattia. «Il tempo mi sfugge!» «Il tempo corre come un puledro impazzito!» «Dammi un po' di tempo!» Questi sono i lamenti più abituali che si sentono dall'uomo bianco.
Io dico che deve essere una strana sorta di malattia; perché anche supponendo che l'uomo bianco abbia voglia di fare una cosa, che il suo cuore lo desideri veramente, per esempio che voglia andare al sole o sul fiume con una canoa o voglia amare la sua fanciulla, così si rovina ogni gioia, tormentandosi con il pensiero: «Non ho tempo di essere contento». Il tempo è lì ma, con tutta la buona volontà, lui non lo vede. Nomina mille cose che gli portano via il tempo, se ne sta immusonito e lamentoso al suo lavoro che non ha alcuna voglia di fare, che non gli dà gioia e al quale nessuno lo costringe se non se stesso. Ma se poi all'improvviso si avvede di avere tempo, che il tempo è lì, oppure qualcuno gli dà dell'altro tempo (i Papalagi si danno sempre il tempo a vicenda, sicuro, niente è più altamente considerato di questo), allora gli manca di nuovo la voglia oppure è stanco del suo l avoro e senza gioia. E regolarmente vuole fare l'indomani ciò per cui oggi non ha più tempo.
Ci sono Papalagi che affermano di non avere mai tempo. Corrono intorno come dei disperati, come dei posseduti dal demonio e ovunque arrivino fanno del male e combinano guai e creano spavento perché hanno perduto il loro tempo. Questa follia è uno stato terribile, una malattia che nessun uomo della medicina sa guarire, che contagia molta gente e porta alla rovina.
Poiché ogni Papalagi è ossessionato dalla paura di perdere il suo tempo, sa anche molto bene (e non solo lo sa ogni uomo, ma anche ogni donna e ogni bambino piccolo) quanti soli e quante lune si sono levate e sono tramontate dal momento in cui egli ha visto la grande luce per la prima volta. Sicuro, questa è una cosa importante e quindi allo scadere di determinati periodi di tempo, si fanno grandi sacrifici con fiori e grandi banchetti. Quanto spesso mi sono accorto che molti credevano di doversi vergognare per me quando mi domandavano quanti anni avevo e io ridevo e non sapevo rispondere. «Ma devi pur sapere quanti anni hai.» Io tacevo e pensavo «È molto meglio che io non lo sappia».
Che età si ha, quante lune si sono viste. Questi calcoli e queste ricerche sono colme di pericolo, perché con ciò si capisce quante lune dura la vita della maggior parte degli uomini. E così ciascuno di loro sta attentissimo, e quando molte e molte lune sono trascorse, dice: «Dovrò presto morire». Così non ha più gioia e finisce che muore davvero.
Ci sono in Europa soltanto poche persone che hanno veramente tempo. Forse nessuna. Per questo, quindi, la maggior parte di esse corrono per la vita come una pietra che rotola. Tutti o quasi camminano tenendo gli occhi abbassati e dondolando le braccia avanti e indietro per andare più in fretta. Quando si vuole fermarli, gridano arrabbiati: «Perché mi disturbi? Non ho tempo, vedi piuttosto di usare bene il tuo». Fanno proprio come se un uomo che cammina in fretta avesse più valore e fosse più coraggioso di quello che cammina lentamente.
Ho visto un uomo farsi scoppiare la testa, roteare gli occhi e spalancare la bocca come un pesce che sta per morire, diventare rosso e verde e battere le mani e i piedi perché il suo servo era arrivato un momento più tardi di quanto aveva promesso. Quel minuto, lo spazio di un respiro, era per lui una perdita tanto grave che non si sarebbe mai potuta compensare. Il servo dovette abbandonare la sua capanna, il Papalagi lo scacciò e gli gridò «Mi hai rubato abbastanza tempo. Un uomo che non bada al tempo, non è degno di averne».
Una sola e unica volta incontrai un uomo che aveva molto tempo, che non si lagnava mai di averne perduto; ma era povero e sudicio e abbandonato. La gente gli girava al largo e nessuno aveva rispetto di lui. Io non compresi questo modo di fare, perché il suo passo era tranquillo e senza ansia e i suoi occhi avevano un quieto sorriso, silenzioso e gentile. Quando glielo domandai, il suo volto si piegò in una smorfia e disse con tristezza: «Io non ho mai saputo far uso del mio tempo, perciò sono un povero diavolo disprezzato da tutti». Quest'uomo aveva tempo, ma neppure lui era felice.
Il Papalagi impiega tutte le sue energie e consuma tutti i suoi pensieri per rendere sempre più pieno il suo tempo. Utilizza l'acqua e il fuoco, la tempesta, i lampi del cielo, tutto per trattenere il tempo. Si mette delle ruote di ferro sotto i piedi e dà ali alle sue parole, sempre per avere più tempo. E perché tutta questa gran fatica? Che cosa ne fa alla fine il Papalagi del suo tempo? Non sono mai riuscito a capirlo del tutto, sebbene lui faccia sempre tante parole e tanti gesti come se il Grande Spirito lo avesse invitato a un ricevimento.
Io credo che il tempo gli sfugga come una serpe sfugge da una mano bagnata, proprio perché lui cerca di tenerlo così stretto. Non gli lascia modo di riprendersi. Gli sta appresso e gli dà letteralmente la caccia con le mani tese, non gli consente alcuna sosta perché possa stendersi al sole. Il tempo deve essergli sempre accanto, deve dirgli e cantargli qualcosa. Ma il tempo è silenzioso e ama la pace e la calma e lo stare distesi su una stuoia. Il Papalagi non ha compreso il tempo, non lo riconosce per quello che è e perciò lo maltratta in quel modo con i suoi rozzi costumi.
O miei cari fratelli! Noi non ci siamo mai lamentati del tempo, lo abbiamo sempre amato; quando veniva non gli siamo mai corsi appresso, non abbiamo mai voluto né costringerlo né disfarlo. Per noi non è mai stato fonte di pena o di fastidio. Si faccia avanti quello fra noi che non ha tempo! Ciascuno di noi ha tempo in quantità; ma noi però siamo anche contenti e soddisfatti di lui, non ce ne occorre più di quanto ce ne è dato e ne abbiamo sempre quanto basta. Sappiamo di arrivare sempre abbastanza in tempo alle nostre mete e sappiamo anche che il Grande Spirito ci chiama secondo la sua volontà, anche se non abbiamo contato il numero delle nostre lune. Dobbiamo liberare il povero, smarrito Papalagi dalla sua follia, dobbiamo ridargli il suo tempo. Dobbiamo distruggere la sua piccola macchina del tempo e annunciargli che dal levarsi al calare del sole c'è molto più tempo di quanto un uomo può aver biso gno.
Buona vita a tutti.
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