domenica 13 marzo 2011

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Postato da Vittoria Fauroieri, 23:31

Ho letto le pagine con cui inizia  "La luna e i falò" di Cesare Pavese.

Troppo lungo riportare tutto il brano. E' il racconto del protagonista che torna al paese dove è cresciuto, non nato, perchè orfano:



dove son nato non lo so, non c'è da queste parti una casa né un pezzo di terra né delle ossa ch'io possa dire “Ecco cos'ero prima di nascere”. Non so se vengo dalla collina o dalla valle, dai boschi o da una casa di balconi.

....

Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di piú che un comune giro di stagione.



ci sono i suoi ricordi dell'infanzia, le colline, la cascina dove abitava con le sue sorelle. Il suo ritorno dopo tanti anni passati in giro per il mondo. Lo stupore, o delusione, di trovare le cose cambiate.



Ma non mi ero aspettato di non trovare piú i noccioli. Voleva dire ch'era tutto finito. La novità mi scoraggiò al punto che non chiamai, non entrai sull'aia. Capii lí per lí che cosa vuol dire non essere nato in un posto, non averlo nel sangue, non starci in mezzo sepolto insieme al vecchi, tanto che un cambiamento di colture non importi. Certamente, di macchie di noccioli ne restavano sulle colline, potevo ancora ritrovarmici; io stesso, se di quella riva fossi stato padrone, l'avrei magari roncata e messa a grano, ma intanto adesso mi faceva l'effetto di quelle stanze di città dove si affitta, si vive un giorno o degli anni, e poi quando si trasloca restano gusci vuoti, disponibili, morti.



e più avanti:


Cosí questo paese, dove non sono nato, ho creduto per molto tempo che fosse tutto il mondo. Adesso che il mondo l'ho visto davvero e so che è fatto di tanti piccoli paesi, non so se da ragazzo mi sbagliavo poi di molto. Uno gira per mare e per terra, come i giovanotti dei miei tempi andavano sulle feste dei paesi intorno, e ballavano, bevevano, si picchiavano, portavano a casa la bandiera e i pugni rotti. Si fa l'uva e la si vende a Canelli; si raccolgono i tartufi e si portano in Alba. C'è Nuto il mio amico del Salto, che provvede di bigonce e di torchi tutta la valle fino a Camo. Che cosa vuol dire? Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti. Ma non è facile starci tranquillo. Da un anno che lo tengo d'occhio e quando posso ci scappo da Genova, mi sfugge di mano. Queste cose si capiscono col tempo e l'esperienza. Possibile che a quarant'anni, e con tutto il mondo che ho visto, non sappia ancora che cos'è il mio paese?



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