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Postato da fabrioggi, 16:46
È da quando è stata inaugurata questa sezione che mi riprometto di scrivere qualcosa a proposito dell'emozione che evoca in me questa parola. poi, il tempo che manca, la tema di esser spocchioso, i rumori molesti della vita, mi hanno fatto passar oltre. Oggi, con un po' di febbre addosso (pazienza se ne vien meno lucidità...), la nebbia che, fuori, si è appena levata, quella che, dentro di me, continua a pormi silenziose domande, e la quiesce dovuta all'orario e al giorno festivo, trovo le energie per scrivere qualcosa.
Liturgia, da ateo, meglio, da religioso in forma caustica - si, proprio come la soda che quando la tocchi ti bruci - cosa significa? Lontani ricordi di letture teologiche per i quali sono grato ad un erudito che, morendo, mi ha lasciato l'intera sua biblioteca, mi riportano al vecchio e al nuovo testamento. Il culto di Jahvé nel VT, il servizio religioso reso dai sacerdoti levitici (quelli dell'arca dell'alleanza, quelli deputati alla musica) che hanno garantito, grazie alla liturgia, la distinzione del culto di Jahvé dai culti pagani; nel NT l'abbandono della forma cultuale ovvero la celebrazione eucaristica in cui Cristo stesso è il liturgo, l'assunzione, nel NT, di un'importanza maggiore che nel VT in quanto fondamento di una nuova alleanza: quella spirituale. La liturgia nel NT si allontana dal culto estetico/cerimoniale/decorativo con alcuni no (alla materializzazione del culto, al culto delle vittime [cioè ai sacrifici], all'osservanza esteriore della legge, a tutti quelli che si radunano nel tempio per queste, anzi, solo per queste pratiche cultuali [ecco perché Cristo annuncia la distruzione del tempio]), ed alcuni si (alla misericordia, ad amare il prossimo e Dio, a riconoscere come necessaria la distruzione del tempio, alle cose che sono persino più importanti del tempio stesso). Insomma la differenza, trasposto nell'oggi e con una formula spicciola, tra il solo predicar bene e poi magari razzolar male, e il predicar bene in sé, perché c'è credo e sacrificio e persino consunzione nelle pratiche religiose, o anche solo nella loro disperante ricerca. Da quei no e da quei si il cristianesimo – ed è una delle unicità della sua filosofia &n dash; esce dagli schemi di qualsiasi altra forma religiosa in quanto ammette forme esteriori di culto, non le ammette come valide in se stesse, e ammette il culto attraverso segni di una realtà solo se collegati ad una presenza.
Questa è la visione che della liturgia, in particolare, dà il Concilio Vaticano II: trasformarla, anzi, elevarla da disciplina ausiliare a disciplina primaria, agganciandone l'insegnamento ai più importanti valori teologici, allo studio sul mistero di cristo e alla storia stessa della salvezza.
Venendo alla musica – non quella dei levitici, ma quella di Beethoven – quel linguaggio che dice tutto senza la schiavitù delle parole, accompagnerei il percorso storico e di creazione della liturgia così come oggi la conosciamo con il 2° movimento del concerto per pianoforte e orchestra op. 73 definito da Beethoven stesso adagio un poco mosso.
Ecco che quella della parola che prima chiamavo schiavitù, prende forma diversa, evocativa, trascende, e il termine liturgia, nella voce del pianoforte che sembra pronunciarlo, emerge dal suo passato lontano di confusa ritualità e si avvicina a noi come un suono dolce al quale, non sappiamo neppure perché, siamo già affezionati. È un tono fatto di intrinsichezza, di eloquenza, di solennità ed intimità di accenti allo stesso tempo, di energia che travolge con delicatezza, di…mete finali raggiunte.
Proviamo ad allontanarci dalle nostre liturgie e non sentiremo più musica. Proviamo ad abbandonare l'ascolto della musica e le nostre ritualità, le nostre ricerche del mistero prenderanno itinerari diversi. Non so quanto forte possa essere la ricerca della presenza: non lo so in me, non ho l'ardire di indagarlo in altri (come fanno molti…nel tempio), ma so che la mia liturgia semplice, fatta di emozione - come dicevo all'inizio - di stagioni che si assommano, di musica che tace non invano, di qualche affannoso “perché” e di consentire alle mie papille gustative di assaporsi il tempo che mi è concesso quaggiù, è quanto di più intimo io possa sentire.
Sicuramente questo mio intervento, come dicevo in apertura, è straordinariamente fuori luogo e fuori tema, ma l'autenticità di questo luogo virtuale, di questo sito in cui il confronto è alla base di contributi sovente interessanti, mi convince – chissà, a torto – di essere autorizzato ad inserire questo tipo di riflessioni.
Mandatemi pure al diavolo, quindi, ma…liturgicamente!
Liturgia, da ateo, meglio, da religioso in forma caustica - si, proprio come la soda che quando la tocchi ti bruci - cosa significa? Lontani ricordi di letture teologiche per i quali sono grato ad un erudito che, morendo, mi ha lasciato l'intera sua biblioteca, mi riportano al vecchio e al nuovo testamento. Il culto di Jahvé nel VT, il servizio religioso reso dai sacerdoti levitici (quelli dell'arca dell'alleanza, quelli deputati alla musica) che hanno garantito, grazie alla liturgia, la distinzione del culto di Jahvé dai culti pagani; nel NT l'abbandono della forma cultuale ovvero la celebrazione eucaristica in cui Cristo stesso è il liturgo, l'assunzione, nel NT, di un'importanza maggiore che nel VT in quanto fondamento di una nuova alleanza: quella spirituale. La liturgia nel NT si allontana dal culto estetico/cerimoniale/decorativo con alcuni no (alla materializzazione del culto, al culto delle vittime [cioè ai sacrifici], all'osservanza esteriore della legge, a tutti quelli che si radunano nel tempio per queste, anzi, solo per queste pratiche cultuali [ecco perché Cristo annuncia la distruzione del tempio]), ed alcuni si (alla misericordia, ad amare il prossimo e Dio, a riconoscere come necessaria la distruzione del tempio, alle cose che sono persino più importanti del tempio stesso). Insomma la differenza, trasposto nell'oggi e con una formula spicciola, tra il solo predicar bene e poi magari razzolar male, e il predicar bene in sé, perché c'è credo e sacrificio e persino consunzione nelle pratiche religiose, o anche solo nella loro disperante ricerca. Da quei no e da quei si il cristianesimo – ed è una delle unicità della sua filosofia &n dash; esce dagli schemi di qualsiasi altra forma religiosa in quanto ammette forme esteriori di culto, non le ammette come valide in se stesse, e ammette il culto attraverso segni di una realtà solo se collegati ad una presenza.
Questa è la visione che della liturgia, in particolare, dà il Concilio Vaticano II: trasformarla, anzi, elevarla da disciplina ausiliare a disciplina primaria, agganciandone l'insegnamento ai più importanti valori teologici, allo studio sul mistero di cristo e alla storia stessa della salvezza.
Venendo alla musica – non quella dei levitici, ma quella di Beethoven – quel linguaggio che dice tutto senza la schiavitù delle parole, accompagnerei il percorso storico e di creazione della liturgia così come oggi la conosciamo con il 2° movimento del concerto per pianoforte e orchestra op. 73 definito da Beethoven stesso adagio un poco mosso.
Ecco che quella della parola che prima chiamavo schiavitù, prende forma diversa, evocativa, trascende, e il termine liturgia, nella voce del pianoforte che sembra pronunciarlo, emerge dal suo passato lontano di confusa ritualità e si avvicina a noi come un suono dolce al quale, non sappiamo neppure perché, siamo già affezionati. È un tono fatto di intrinsichezza, di eloquenza, di solennità ed intimità di accenti allo stesso tempo, di energia che travolge con delicatezza, di…mete finali raggiunte.
Proviamo ad allontanarci dalle nostre liturgie e non sentiremo più musica. Proviamo ad abbandonare l'ascolto della musica e le nostre ritualità, le nostre ricerche del mistero prenderanno itinerari diversi. Non so quanto forte possa essere la ricerca della presenza: non lo so in me, non ho l'ardire di indagarlo in altri (come fanno molti…nel tempio), ma so che la mia liturgia semplice, fatta di emozione - come dicevo all'inizio - di stagioni che si assommano, di musica che tace non invano, di qualche affannoso “perché” e di consentire alle mie papille gustative di assaporsi il tempo che mi è concesso quaggiù, è quanto di più intimo io possa sentire.
Sicuramente questo mio intervento, come dicevo in apertura, è straordinariamente fuori luogo e fuori tema, ma l'autenticità di questo luogo virtuale, di questo sito in cui il confronto è alla base di contributi sovente interessanti, mi convince – chissà, a torto – di essere autorizzato ad inserire questo tipo di riflessioni.
Mandatemi pure al diavolo, quindi, ma…liturgicamente!
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